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È l’opera che ha segnato una svolta importante per la carriera di Béla Bartók: rappresentata per la prima volta all’Opera di Budapest nel maggio 1918, e diretta allora dall’italiano Egisto Tango, “Il castello del principe Barbablù” segnò una svolta importante per la notorietà del compositore nel suo Paese. Il libretto si deve a una figura di primo piano nella cultura ungherese del tempo. Bela Balàzs, che dalla famosa favola divulgata da Perrault tratteggiò un Barbablù condannato a non trovare l’appagamento che costantemente cerca, senza dare nulla in cambio: le sue donne sono momenti provvisori della vita, destinati a sparire nel buio lasciandolo alla sua solitudine.
A partire quindi da un caposaldo non solo del melodramma ma anche del repertorio sinfonico – fu lo stesso Bartók, infatti, a prevedere la declinazione dell’opera in forma di concerto – nasce la nuova produzione avviata dal Conservatorio “Giuseppe Tartini” di Trieste, “Il castello del Principe Barbablù”, al debutto in prima assoluta per il cartellone di Mittelfest 2023 nella serata di martedì 25 luglio, alle 19, nella Chiesa di San Francesco a Cividale. Info e dettagli conts.it telefono 040.6724911.

Béla Bartók


Realizzata a cura della classe di Direzione d’orchestra del maestro Marco Angius, la produzione trova la stretta sinergia delle principali istituzioni di formazione musicale serbe, ovvero la Facoltà di Musica della Università delle Arti di Belgrado e l’Accademia delle Arti di Novi Sad, quale evento di cooperazione culturale Italia-Serbia ai sensi della legge 212/2012. Hanno inoltre collaborato il Conservatorio “Benedetto Marcello” e l’Accademia di Belle Arti di Venezia, la revisione del libretto è curata da Eberhard Kloke. Il coordinamento produttivo è del docente del Conservatorio “Tartini”, Andrea Amendola, d’intesa con il direttore Sandro Torlontano, che spiega: «Siamo lieti di aver rinnovato la collaborazione con le istituzioni musicali serbe, alle quali molti progetti ci legano, anche per il futuro. Debuttare in un festival di riferimento per la scena musicale centro-europea, qual è Mittelfest, è una chance importante per i giovani artisti italiani e serbi che sono impegnati nella produzione, una vetrina preziosa e insieme una palestra per il futuro degli studi e della carriera».
La dimensione sinfonica dell’opera “Il castello del principe Barbabù” è dunque tale da favorirne l’esecuzione in forma di concerto per baritono, mezzosoprano e orchestra: a dirigerlo sarà la giovane bacchetta Vakhtang Gabidzashvili. L’integrazione di modalità diverse da quelle tradizionali nella musica colta dei secoli XVII-XIX e la qualità dell’invenzione ritmica emergono nell’atmosfera musicale come sviluppo coerente alla natura del canto popolare rumeno e ungherese: non a caso l’opera fu composta all’apice della fase di interesse di Bartók per le musiche popolari. In scena il pubblico troverà Tamaš Kiš nel ruolo del Duca Barbablù e Kamilla Karginova in quello della coprotagonista, Judit, e l’Orchestra sinfonica composta da 45 giovani musicisti italiani (Conservatorio “Giuseppe Tartini” di Trieste e Conservatorio “Benedetto Marcello” di Venezia) e serbi (Faculty of Music – University of Arts in Belgrade e Academy of Arts Novi Sad). Introduzione e prologo sono a cura dell’attore e cantante Giacomo Segulia, il concerto sarà scandito dalle coinvolgenti immagini video realizzate da Igor Imhoff per l’Accademia di Belle Arti di Venezia.

Vakhtang Gabidzashvili


Due soli, quindi, sono i personaggi cantanti de “Il castello del principe Barbabù”: immaginate una sala, grande e buia, senza finestre, dove, come nel fondo di una grotta, non filtra nessun raggio di sole. Siete nel cuore del medievale castello del duca Barbablù, che sopraggiunge assieme alla novella sposa, Judit. Dialogano nell’oscurità, quasi totale, la donna segue per la prima volta Barbablù nel suo tetro castello. Judit ha abbandonato tutto, e senza rimpianti lascia richiudere la porta dietro di sé. Ma vuol conoscere il passato di Barbablù: e una dopo l’altra ottiene le chiavi delle sette porte segrete. Davanti alla settima Barbablù oppone una resistenza maggiore, ma Judith preme. Crede d’aver capito: là dietro, pensa, saranno i cadaveri delle mogli assassinate, sporche di sangue come i fiori, le armi, i gioielli delle altre stanze. Vuole aprire anche quella porta per toccare il fondo del segreto, così Barbablù cede: e dall’ultima porta appaiono le sue prime tre donne. Ma vive, ingioiellate, regali. Escono lentamente, a una a una, e raggiungono Barbablù: la donna del suo mattino, la donna del meriggio, la donna della sera. Non sono ormai che un ricordo del passato, un ricordo che si dilegua. Judit le seguirà. Barbablù la riveste dei gioielli più luminosi e d’un mantello stellato, così Judit, che si scoprirà la donna della notte, sparisce dietro le altre nella settima stanza che si richiude su di lei, mentre l’oscurità invade per sempre il castello sull’eterna solitudine di Barbablù.
Fu il mondo artistico francese a stimolare la nascita del Castello di Barbablù, in cui l’ambientazione medioevale, allora di moda sui palcoscenici europei, divenne il pretesto per una narrazione simbolica, dove il remoto nel tempo è il luogo che accoglie istanze tanto universali quanto sfumate nei contorni. Così, i personaggi dell’opera agiscono come fossero in punta di piedi, sussurrando l’uno all’altro domande che mai avranno risposta, mentre percorrono un sentiero già tracciato dal destino. Benché nell’opera agiscano due personaggi che richiamano il conflitto fra mondo maschile e femminile, metafora per le altre possibili opposizioni, nonostante ambedue le figure siano caratterizzate da tratti universalmente riconducibili a psicologie in conflitto, il punto centrale dell’intreccio pensato da Bartók non va cercato nei due protagonisti, quanto nel luogo stesso dell’azione. Il castello è dotato di una propria vita, dentro cui s’inscrive la vicenda rappresentata, che ne ritaglia una limitata porzione di tempo all’interno del fluire perenne di questo luogo. Se quindi il castello, nella costellazione simbolica, rappresenta “una coscienza”, come preannuncia la voce che fa da prologo, allora il conflitto dei due personaggi, il duca e Judit, rimane in realtà la proiezione di una tensione interna all’io, che corre incontro al tempo reale senza riuscire a coglierlo veramente. Un tempo che si nutre di età simboliche e si manifesta in sette aspetti diversi, stimolato da una componente femminile che incarna il completamento di un ciclo: quattro mogli, quattro stagioni, quattro periodi della vita; per ritrovare l’unico equilibrio possibile, che già era dato nella solitudine iniziale.

Il Conservatorio di Trieste.

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In copertina, il duca Barbablù mentre consegna le chiavi alla moglie in una illustrazione di Gustave Dorè del 1862.

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